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Musica

Filosofia della Musica

A cura di Tullio Visioli

Ignoto Numini.

Chi scrive non sa di musica, se non quanto gl' insegna il cuore, o poco piú; ma nato in Italia, ove la musica ha patria, e la natura è un concento, e l' armonia s' insinua nell' anima colla prima canzone che le madri cantano alla culla dei figli, egli sente il suo diritto, e scrive senza studio, come il core gli detta, quelle cose che a lui paiono vere e non avvertite finora, pure urgenti a far sí che la musica e il dramma musicale si levino a nuova vita dal cerchio d' imitazioni ove il genio s' aggira in oggi costretto, inceppato dai maestri e dai trafficatori di note.

E i maestri e i trafficatori di note s' astengano da queste sue pagine. Non sono per essi. Sono pei pochi che nell' Arte sentono il ministero, e intendono la immensa influenza che s' eserciterebbe per essa sulle società, se la pedanteria e la venalità non l' avessero ridotta a meccanismo servile, e a trastullo di ricchi svogliati: -- per chi v' intravvede piú che non una sterile combinazione di suoni, senza intento, senza unità, senza concetto morale: -- per gl' intelletti, se pur ve n' ha, che non hanno rinnegato il pensiero pel materialismo, l' idea per la forma, e sanno che v' è una filosofia per la musica, come per tutte le altre espressioni dell' intima vita, e degli affetti che la governano: per le anime vergini che sperano ed amano, che s' accostano venerando all' opere de' grandi davvero, che gemono sull' ultimo pensiero di Weber, e fremono al duetto tra Faliero e Israelo Bertucci, che cercano un rifugio nell' armonia quando hanno l' anima in pianto, e un conforto, una fede, quando il dubbio le preme: -- al giovine ignoto, che forse in qualche angolo del nostro terreno, s' agita, mentr' io scrivo, sotto l' ispirazione, e ravvolge dentro sé il segreto d' un' epoca musicale.

Forse ad anima di tempra siffatta, le seguenti pagine torneranno non inutili affatto. Porranno sulla via del concetto rigeneratore, e convinceranno almeno piú sempre, che, senza un concetto rigeneratore può la musica riescire artificio piú o meno dilettoso, non raggiungere intera l' altezza de' suoi destini; inciteranno ad osare, e daranno, non foss' altro, un conforto alle lunghe tribolazioni che i pochi nati a creare hanno sempre compagne nel cammin della vita. Chi sente tutta quant' è la santità dell' Arte che egli è chiamato a trattare, ha bisogno, in questi tempi di prostituzione e di scetticismo, che una qualche voce si levi a protestare per lui, e a gridargli "confida." Tra noi i potenti a fare non mancano. Manca, per quest' atmosfera di materialismo e di prosa che aggrava le anime giovani, un raggio di fiducia e di poesia che disveli ad esse le vie del futuro. Manca chi ripeta sovente agl' ingegni nascenti il ricordo che un filosofo volea gli fosse ridetto ogni mattina da chi lo destava: "Alzatevi, però che avete a compiere grandi cose." Manca chi gridi: là, su quell' altezza è la gloria; levatevi ed ite; incontrerete derisioni e invidie per via; ma la coscienza in vita, e i posteri dopo, vi vendicheranno de' vostri contemporanei.

Quando l' elemento costitutivo di un' Arte, il concetto vitale che lo predomina, ha raggiunto il maggior grado di sviluppo possibile, ha toccato la piú alta espressione a cui gli sia dato salire, e gli sforzi per superarla n' escono inutili, anche dove chi tenta è potente davvero, quell' elemento è irrevocabilmente consunto, quel concetto esaurito; né il genio stesso può farlo rivivere, né il genio stesso ricreare un periodo conchiuso, o che sta per conchiudersi. -- L' ostinarsi a far di quel concetto il fondamento esclusivo dell' Arte, e a voler trarre da quell' unico elemento la sorgente di vita, è follia; è un fraintendere la legge che regola i destini dell' Arte; un incepparsi ed isterilirsi spontaneo: un' condannarsi ad errar tra cadaveri, quando vita e moto e potenza stanno davanti a voi. L' Arte è immortale; ma l' Arte, espressione simpatica del pensiero di che Dio cacciava ad interprete il mondo, è progressiva com' esso. Non move a cerchio, non ricorre le vie calpeste; ma va innanzi d' epoca in epoca, ampliando la propria sfera, levandosi a piú alto concetto quando il primo s' è svolto in ogni sua parte, ribattezzandosi a vita coll' introduzione d' un nuovo principio, quando tutte le conseguenze dell' antico sono desunte e ridotte ad applicazione. -- È legge fatale e per tutte cose. Spenta un' epoca, un' altra sottentra. Spetta al genio indovinarne e rivelarne il segreto.

A questo punto parmi esser giunta a' dí nostri la musica. Il concetto che le ha dato vita fin qui, è concetto esaurito. Il nuovo non si è rivelato. E finché nol sarà, finché i giovani compositori si ostineranno a lavorare sul vecchio, finché l' ispirazione non iscenderà sovr' essi da un altro cielo inesplorato finora, la musica si rimarrà diseredata della potenza che crea, le scuole contenderanno senza fine, e senza vittoria, gli artisti si trascineranno erranti, incerti per diversi sistemi, fra diverse tendenze, senza intento e proposito deliberato, senza speranza di meglio, imitatori sempre, e incoronati dal serto che gli uomini danno agl' imitatori, vivido di bei colori, ma caduco e appassito in un giorno. Avremo perfezionamenti di metodo, ornamenti e raffinatezze di esecuzione, non incremento di facoltà creatrice. Avremo mutamenti di stile, non nuove idee; lampi di musica, non una musica; ammiratori entusiasti per moda, appassionati se vuolsi, non credenti; non fede.

Oggi l' intelletto si sta fra due mondi: nello spazio che separa il passato dall' avvenire: fra una sintesi consunta, e un' altra nascente. È verità che trapela da ogni parte, in ogni raggio dell' umano sapere. Poesia, letteratura, storia, filosofia, son tutte espressioni d' un solo fenomeno, ridicono tutte a chi sa e vuole intendere: "Siamo a tempi di transizione, tra l' ultima luce morente d' un sole al tramonto, e la prima incerta d' un sole che sorge." La poesia è tutta di presentimento e di ricordanza: pianto e preghiera. La letteratura brancola in cerca di una parola perduta, e mormora una speranza di nuovi destini. La storia procede dubbiosa fra due sistemi, tra l' analisi nuda dei fatti, e la esposizione sintetica, tra la narrazione semplice e la dimostrativa. La filosofia rade la terra e si concentra nell' anatomia dell' individuo, insistendo sull' orme del secolo XVIII, e rinnega la realità e la potenza progressiva d' applicazione, per lanciarsi a contemplazioni d' un ideale assoluto che non s' è toccato mai, né si toccherà forse mai piú. Son tentativi arditamente iniziati, poi lasciati a mezzo nello sconforto, e nella impotenza: soluzioni intravvedute e smarrite. Un' irrequietezza come di potenze che vorrebbero e non sanno come applicarsi; un anelito all' ignoto che affanna senza spingere a positive conquiste. L' intelletto ha sete d' unità in tutte cose, ma o ignora le vie di raggiungerla, o non s' attenta di entrarvi. Il romanticismo, come altrove si è detto, ha potuto distruggere non edificare; fu teorica essenzialmente di transizione: concetto organico non ebbe; né lo potea. Ad avviar l' intelletto sulle vie dell' Arte sociale bisognava liberarlo da tutte tirannidi di precettisti e di scuole. E giova dirlo e ridirlo, perché in oggi i pericoli allo sviluppo della letteratura e dell' arti non vengono da nemici, irremissibilmente perduti, dello sviluppo, bensí da' fautori impotenti, da' novatori timidi ed inesperti, dagl' imprudenti che collocano nell' anarchia letteraria il sublime della conquista, e da' ciechi che adorano il Dio nel Profeta. Quando il romanticismo gittò sulla mensa de' letterati il pomo della discordia, i letterati erano Greci o Romani bastardi, non Italiani, non Europei del secolo XIX. L' antico era despota. -- L' elemento del mondo moderno cancellato. L' Arte cristiana, l' Arte libera, l' Arte umana affogava sotto i rottami del mondo Pagano. Il romanticismo, come gl' invasori settentrionali sul finir dell' impero, venne a por mano in quelle morte reliquie e le scompigliò; dissotterrando l' individualità conculcata, e mormorando all' intelletto, applicata all' Arte, una parola obliata quasi da cinque secoli, lo riconsecrò libero e gli disse: va oltre: l' universo è tuo:non altro. E allora gl' ingegni divagarono per quante vie s' affacciavano: salirono al cielo, e si ravvolsero nelle nuvole del misticismo; scesero, rovinando all' inferno, e ne trassero il ghigno satanico e quello sconforto senza fine che domina in Francia tanta parte di letteratura; si prostrarono alle reliquie dell' evo medio, chiesero l' ispirazione a' rottami de' chiostri e de' monasteri. Da tutti questi tentativi, come che incerti, o esclusivi, e talora retrogradi, esciva, presagio de' lavori futuri, e indizio di una coscienza, e di una potenza rinata, un pensiero: l' io restituito alla propria missione. A quanti interrogavano: in chi avete fede? gl' ingegni potevano almeno rispondere la risposta del barbaro: in noi. -- Bensí, quando s' avvidero che il vuoto durava, che essi non sapevano colmarlo, e che i desiderii della crescente generazione non s' appagavano di que' tentativi, ristettero sfiduciati e ristanno […]

Manca alle arti, alle scienze, a tutte dottrine chi le rannodi. Manca chi le concentri tutte a un intento, e le affratelli in un pensiero di civiltà. Manca, e verrà. Cessata allora l' anarchia ond' oggi faticano gl' intelletti, le arti, collocate nei ranghi che ad esse spettano, potenti ciascuna, oltre alla vita propria, della vita di tutto, santificate dall' esercizio di una opinione, armonizzanti, concordi, fioriranno venerate e immortali. Giova intanto preparare il terreno, e indicare in tutti i modi possibili a quanti non han disperato delle arti, la via di salute.

E per ciò che tocca le lettere, queste cose e l' altre mille che ne derivano, hanno a dirsi anzi che ignote, troppo sovente ancora, dimenticate; taluni dentro e fuori le han dette, e molti hanno fatto plauso, perché in Italia l' intelletto è per natura potente, e sente il vero che gli è affacciato; poi lo han posto in oblío, perché in Italia la potenza d' oblío supera anche quella dell' intelletto. Ma tra quanti parlano o scrivono di musica chi le ha dette? o sospettate? chi ha tentato mai risalire alle origini filosofiche del problema musicale? Chi avvertito il vincolo che annoda la musica alle arti sorelle? Chi ha mai pensato che il concetto fondamentale della musica potess' essere tutt' uno col concetto progressivo dell' universo terrestre, e il segreto del suo sviluppo avesse a cercarsi nello sviluppo della sintesi generale dell' epoca; la cagione piú forte dell' attuale decadimento nel materialismo predominante, nella mancanza d' una fede sociale, e la via di risurrezione per essa nel risorgere di questa fede, nell' associarsi ai destini delle lettere e della filosofia? Chi ha mai levata una voce che dicesse, non ai maestri incorreggibili sempre, ma a' giovani che vorrebbero lanciarsi e non sanno come: "L' Arte che trattate è santa, e voi, dovete essere santi com' essa, se volete esserne sacerdoti. L' Arte che v' è affidata è strettamente connessa col moto della civiltà, e può esserne l' alito, l' anima, il profumo sacro, se traete le ispirazioni dalle vicende della civiltà progressiva, non da canoni arbitrarii, stranieri alla legge che regola tutte le cose. La musica è un' armonia del creato, un eco del mondo invisibile, una nota dell' accordo divino che l' intero universo è chiamato ad esprimere un giorno; e voi, come volete afferrarla, se non innalzandovi alla contemplazione di questo universo, affacciandovi colla fede alle cose invisibili, abbracciando del vostro studio, dell' anima vostra e del vostro amore tutto quanto il creato! E perché vorrete rimanervi accozzatori di note, trovatori d' un giorno, o peggio, quando sta in voi consecrarvi sulla terra a tal ministero, che gli angioli soli, nella credenza dei popoli, esercitano su nel cielo?"

Siffatto linguaggio non fu parlato mai, ch' io mi sappia. Nessuno ha tentato ritrarre la musica dal fango o dall' isolamento in che giace per ricollocarla dove gli antichi, grandi, non di sapienza, ma di sublimi presentimenti, l' aveano posta, accanto al legislatore e alla religione. Forse chi avrebbe voluto e potuto non ha osato, e s' arretrava davanti alla tirannia de' maestri, persecutori nati di quanti accoppiano genio e coscienza, o davanti alla miseria, terribile sovra tutte cose, e dimezzatrice potente d' ogni anima che non sia di tempra ferrea davvero e Dantesca. Ma intanto la musica si è segregata piú sempre dal viver civile, s' è ristretta a una sfera di moto eccentrica, individuale, s' è avvezza a rinnegare ogni intento, fuorché di sensazioni momentanee, e d' un diletto che perisce co' suoni. Intanto l' arte divina che ne' simboli mitologici s' immedesima col primo pensiero del nascente incivilimento, l' arte che pur tuttavia informe, e ne' vagiti d' infanzia, era nella Grecia tenuta come lingua universale della nazione, e veicolo sacro della storia, della filosofia, delle leggi, e della educazione morale, si è ridotta in oggi a semplice distrazione! Una generazione corrotta, sensuale e spossata ha trovato nell' artista l' improvvisatore; ha detto: sottrammi alla noia -- e l' artista ha obbedito; ha dato forme senz' anima, suoni senza pensiero, affastellando note a diluvio, affogando la melodia sotto un trambusto indefinibile di strumenti, balzando d' uno in altro concetto musicale senza svolgerne alcuno, rompendo a mezzo l' emozione con un meccanismo di trilli, gorgheggi e cadenze, che dagli affetti che la musica suscita, vi trascinano ad ammirar freddamente un' organizzazione privilegiata; s' è riesciti a promuovere il riso ed il pianto senza che né l' uno né l' altro abbiano tempo di giungere sino al fondo dell' anima. È riso senza pace, pianto senza virtú; e l' uno sforma i lineamenti del viso alle nostre donne, ma né toglie una sola piega alla fronte, né un solo gemito al cuore; l' altro sgorga non preveduto, inconscio, strappato a forza, quasi a ricordarvi che avete dentro tal cosa nata all' amore, ed alla pietà, che la musica potrebbe educare se gli uomini non l' avessero, isolandola, incadaverita. L' arte sovrana, Byroniana, profonda, l' arte che solca e scava, l' arte d' insistere sul concetto, con incremento progressivo di forza, finché s' addentri, s' incarni, s' invisceri in voi, è negletta, e perduta. Oggi non si solca, si sfiora, non s' esaurisce la sensazione, s' accenna. Si studian gli effetti; all' effetto, all' effetto unico, generale, predominante che avrebbe ad emergere irresistibile da tutto quanto il lavoro, ed alimentarsi delle mille impressioni secondarie, disseminate per entro a quello, chi bada? Chi cerca al dramma musicale una idea? Chi varca oltre il cerchio particolare delle varie scene che compongono un' opera, per afferrare un nesso, un centro comune? Non il pubblico infastidito, svogliato, frivolo, che fugge, anziché richiederle, le profonde impressioni, che dimanda alla musica il passatempo d' un' ora e non altro; che s' informa prima dei cantanti, poi del lavoro. Non l' autore avvilito, degradato, abbrutito da' tempi, dal pubblico, dall' avidità di guadagno, dall' ignoranza di tutte cose che non son note ed accordi, dal vuoto che gli regna d' intorno, dal buio che gli pesa sull' anima. E pubblico e autore gareggiano a chi può meglio profanare la musica, e guastarne la sacra missione, e vietarle unità. Le conseguenze n' escono inevitabili. Un' opera è tal cosa che non ha nome: l' arcano delle streghe nel Macbeth: l' intermedio del Fausto.

Un' opera non può definirsi se non per enumerazione di parti -- una serie di cavatine, cori, duetti, terzetti e finali, interrotta -- non legata -- da un recitativo qualunque che non s' ascolta: un mosaico, una galleria, un accozzo, piú sovente un cozzo di pensieri diversi, indipendenti, sconnessi che s' aggirano come spiriti in un circolo magico per entro a certi confini: un tumulto, un turbinío di motivi e frasi e concettini musicali, che ti ricordano quei versi di Dante sull' anime de' morti, sulle parole di dolore, sugli accenti d' ira, sulle voci alte e fioche, e sul batter di mani che s' ode ne' nostri teatri come alle porte d' inferno. Diresti una danza del sabbato. -- Diresti la corsa fantastica, traverso lande e campi diversi, descritta in una ballata di Bürger, e il cavallo infernale avente Leonora ed un morto -- la musica e il pubblico -- in groppa e traendoli a furia di piaggia in piaggia al suono di quella cadenza monotona: I morti camminan veloci. Hurrah! Hurrah! Dove andiamo? Che vuol questa musica? A che mena? Dov' è l' unità? perché non arrestarsi a quel punto? Perché rompere quell' idea con quest' altra? A che intento? Per qual concetto predominante? Hurrah! Hurrah! L' ora è presso. La mezza notte è varcata. Il pubblico vuole il suo diritto; quel suo certo numero di motivi. Datelo: innanzi. Manca una cavatina, manca il rondò della prima donna. Hurrah. -- L' ora è suonata, s' applaude e s' esce. Il giovane che s' era illuso a trovare un conforto nella musica; il giovane che immaginava ridursi a casa con una idea, con un affetto di piú, si ritrae lento e muto, colla testa affaticata, dolente, con un tintinnío nell' orecchie, con un vuoto nel cuore, e col: musique, que me veux-tu? di Fontenelle, sul labbro. A questi termini è la musica de' nostri giorni. E della poesia che vi si affratella, non parlo, perché non mi dà l' animo.

Non so se queste parranno esagerazioni, ma quando nelle sere di grande spettacolo, nelle sere de' trionfi musicali, s' accoppia un prim' atto d' un' opera, al secondo d' un' altra, v' è data misura del perché la gente vada al teatro. E quando i profanatori che tengon gli appalti, non s' arretrano dal commettere sulle scene opere fatte a centone di pezzi di dieci autori spettanti a dieci composizioni diverse, e il pubblico applaude, avete norma del come si cerchi l' unità di concetto, senza la quale non è dramma, né musica, né impressione durevole, né potenza educatrice, né santità d' Arte, né fede possibile. Ben' è vero che in Parigi, centro visibile di tutte cose che riguardano il gusto, escono Drammi e Vaudevilles ideati ed architettati da cinque scrittori!!....

E non pertanto la musica, sola favella comune a tutte nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d' umanità, è chiamata certo a piú alti destini che non son quelli di trastullar l' ore d' ozio a un piccol numero di scioperati; non pertanto questa musica, che oggi è sí vilmente scaduta, s' è rivelata onnipotente sugli individui e sulle moltitudini, ogni qualvolta gli uomini l' hanno adottata ispiratrice di forti fatti, angiolo de' santi pensieri; ogni qualvolta gli eletti a trattarla, ricercarono in essa l' espressione la piú pura, la piú generale, la piú simpatica d' una fede sociale. Un inno di poche battute, ha creata in tempi vicini a noi la vittoria. Sappiamo de' barbari che i canti cristiani mutarono ad un tratto di nemici in credenti. Alla musica sacra, alla melodia religiosa della chiesa di Costantinopoli son dovute le prime conversioni di taluni fra' popoli Slavi. E de' prodigii della musica greca, chi tra noi, non foss' altro da' pedanti che tengon le scuole, non ha udito i racconti, singolari a tutti, inesplicabili a chi non s' addentra nelle cagioni?

Que' popoli, -- giova dirlo di volo a quanti, per cieca venerazione all' antico, falsano le storie accettando i fatti, e non curando spiegarli -- quei popoli erano in fatto d' Arte, inferiori a noi, come l' alba al meriggio. La musica è un' aura del mondo moderno. La musica è nata in Italia, nel XVI secolo con Palestrina. Gli antichi non n' ebbero che il germe, la melodia; gli strumenti, e ne avevano dovizia, non oltrepassavano l' accompagnamento, o meglio l' imitazione della voce. Nessuna, o quasi, potenza di creazione. I misteri dell' anima, si rimanevano, i piú almeno, intentati. Gli antichi non vivevano che d' una metà della vita; e la musica spettava appunto all' altra metà contesa dai tempi. Però non era per essi che un' ombra, un eco, un presentimento.

Ma in que' popoli viveva una fede: qualunque si fosse, una fede, e con essa l' istinto dell' unità ch' è il segreto del genio, e l' anima di tutte le grandi cose. Ma per quell' istinto non definito, l' Arti procedevano unite, e poiché l' impotenza degli Artefici negava alla musica una unità connessa direttamente alla grande unità sociale, le davano compagna inseparabile la poesia, e da quell' unione escivano i prodigii venturi. Ma la musica, cosí com' era, facea pur nondimeno parte d' educazione religiosa e nazionale alle moltitudini che s' accostavano ad essa come a loro sacrificii solenni. -- Noi, non abbiamo fede oggimai, né forti credenze, né luce di sintesi, né concetto d' armonia sugli studi, né religione d' Arti, d' affetti virili o di grandi speranze: nulla.[…]I nostri Padri, i nostri grandi, avevano fede, adoravano l' entusiasmo, e si circondavano di poesia; traevan dal core, concitato a forti e frementi passioni, l' ispirazione del vero, e il segreto della costanza. Però si levavan giganti, quando l' altre nazioni giacevano. Però le nazioni risorte li venerano insegnatori. E voi, ricordatevi che giacete da tre secoli, che il disprezzo di tre secoli vi sta sopra, che da que' medesimi che pur vi studiate imitare, non vi vengono se non rimproveri, epigrammi villani, o piú villana pietà.

Torniamo alla musica, confortiamoci del pessimo avviamento degli intelletti, colle speranze ch' escono da quest' arte divina pur cosí caduta in fondo com' è. La musica, come la donna, è cosí santa d' avvenire e di purificazione, che gli uomini, anche solcandola di prostituzione, non possono cancellar tutta intera l' iride di promessa che la incorona: e in questa de' nostri giorni che noi condanniamo, s' agita non pertanto tale un fermento di vita che prenunzia nuovi destini, nuovo sviluppo, nuova e piú solenne missione. L' imagine del bello e dell' eterna armonia v' appare a frammenti, ma pur v' appare. Diresti un angelo caduto che dall' abisso ove l' hanno travolto, manda tuttavia sulla terra una voce di paradiso. Forse alle donne e alla musica, spetta, nel futuro, piú ampio ministero di risurrezione ch' altri non pensa, forse alla musica prima, come a quella che ha un solo linguaggio per tutta quanta l' umanità, spetta l' iniziativa d' un concetto che l' altre Arti verranno a tradurre ed a svolgere successivamente. La musica è la fede d' un mondo di cui la poesia non è che l' alta filosofia. E le grandi epoche s' iniziano colla fede. Comunque, l' iniziativa della nuova sintesi musicale escirà d' Italia, o m' inganno. La sola Germania potrebbe contenderci questa palma. Ma la Germania, intenta in oggi a un lavoro d' applicazione, e stanca d' un lungo volo di secoli nella sfera nudamente teorica dell' astrazione, è trascinata per legge di cose a reazione tanto piú violenta quanto piú breve, contro la tendenza al misticismo che l' ha dominata esclusivamente fin qui. E l' iniziativa d' un' epoca in un' Arte spiritualistica sovra ogn' altra, è vietata a chi, non già s' affratella, ma pur si ravvicina d' un passo al materialismo. Tra noi, il moto oggimai non può che procedere inverso. Però siamo in condizioni piú propizie a creare. Poi, checché si dica, e checché gli Italiani, molti almeno, anche oggi rinneghino, è scritto che tutti, o quasi, i principii delle grandi cose, abbiano ad escir d' Italia.

Poniamo rinata la fede, poniamo spento il materialismo, e l' analisi, oggi sola a governo, rilegata nei termini dell' officio ch' è chiamata ad adempiere, verificazione ed applicazione progressiva d' una sintesi; poniamo gli intelletti dalla missione consunta del secolo XVIII rivolti all' ultimo avvenire del XIX; poniamo santo l' entusiasmo, e un pubblico -- condizione senza la quale non v' è da sperare -- preparato all' Artista: per che via dovrà mettersi il genio? a che problema ricercare la soluzione? e quali tendenze avrà l' epoca musicale che aspetta l' iniziativa? -- in altri termini -- a che ne siamo? a che termini giunti? La sola conoscenza delle attuali tendenze, de' confini raggiunti, de' termini filosofici ne' quali l' arte si sta, può rivelarci l' intento della conquista, il segreto dell' Arte futura.

Le tendenze sono infinite quanto gl' ingegni a un dipresso, ma tutte, a chi ben guarda, secondarie e determinate da questioni di forma, o divertenti sugli accessori, anziché sull' intima vita, sulla sostanza, sul concetto che è l' anima della musica. E guardando a quest' ultimo troviamo che tutte tendenze si riducono a due; tutte s' ordinano, serbando i debiti ranghi, in due grandi serie, e s' accentrano intorno a due sommi elementi.

Son gli elementi eterni di tutte cose: i due principii che oprano continui, e si svelano or l' uno or l' altro predominanti in tutti i problemi che affaticano, da migliaia d' anni, l' umano intelletto: i due termini che in tutte questioni emergono a lotta, e il cui sviluppo progressivo su due linee convergenti da secolo in secolo, forma argomento alla storia. L' uomo e l' umanità -- il pensiero individuale, e il pensiero sociale.

Fra questi due principii si libra oggi, come sempre, la scienza o teorica dell' intelletto, e l' Arte che ne è manifestazione. Delle due tendenze che movono da siffatti termini, l' una fa centro dell' individuo, e rota a cerchio intorno a esso: l' altra lo dimentica e lo cancella tra le vaste linee del concetto complessivo della universale unità. -- L' una si nutre d' analisi, l' altra di sintesi -- ambe esclusive, intolleranti, hanno perpetuata fino a' dí nostri una lite che scinde le forze umane e contrasta il progresso, dacché l' una, non ponendo un intento generale ai lavori individuali, è trascinata a rovina dall' analisi nel materialismo, e l' altra, cadendo perduta per le vie d' una sintesi inapplicata, sfuma nel vago, nell' indefinito, in una sfera di misticismo che non promove a conquiste reali. Chi comporrà quella lite armonizzando a un intento le due tendenze, e non rinnegando verun de' termini generatori, avrà sciolto il problema. L' Eccletticismo, che in questi ultimi tempi ha illuso gl' ingegni migliori, non ha fatto che esporlo.

La verificazione delle due tendenze, nella filosofia, nella storia, nelle lettere, nelle scienze fisiche, in tutti i rami dello sviluppo intellettuale non s' accorda alla natura di questo scritto. Chi legge può farla da sé, perché non s' è mai mostrata cosí evidente come oggi.

Ma, nella musica, dove, come ho detto, l' azione della legge generale non fu mai avvertita, né indagata, né sospettata, siffatte tendenze riescono pure piú evidenti ch' altrove. La melodia e l' armonia sono i due elementi generatori. La prima rappresenta l'Individualità, l' altra il pensiero sociale. E nell' accordo perfetto di questi due termini fondamentali d' ogni musica -- poi nella consecrazione di questo accordo a un sublime intento, ad una santa missione -- sta il segreto dell' Arte, il concetto della musica europea davvero che noi tutti, consci o inconsci, invochiamo.

Oggi alle due tendenze che fan perno dell' uno o dell' altro di quegli elementi, corrispondono due scuole, due campi, anzi due zone distinte: il nord ed il mezzogiorno; la musica germanica e l' italiana. D' altra musica esistente per sé, e indipendente nel concetto vitale da queste due, non so: né credo ch' altri, comunque illuso da vanità di paese, possa trovarne.

La musica italiana è in sommo grado melodica. Fin da quando Palestrina tradusse il cristianesimo in note, e iniziò colle sue melodie la scuola italiana, essa assunse questo carattere e lo conservò. L' anima del medio Evo spira in essa e la suscita. L' individualità, tema, elemento de' tempi di mezzo, che in Italia piú che altrove ebbe in tutte cose espressione profondamente sentita ed energica, ha ispirata, generalmente parlando, la nostra musica, e la domina tuttavia. L' io v' è re: re despota e solo. S' abbandona a tutti capricci; segue l' arbitrio d' una volontà che non ha contrasto: va come può e dove spronano i desiderii. Norma razionale e perpetua, vita progressiva unitaria, ordinata pensatamente a un intento non v' è. V' è sensazione prepotente, sfogo rapido e violento. La musica italiana si colloca in mezzo agli oggetti, riceve le sensazioni che vengono da questi, poi ne rimanda l' espressione abbellita, divinizzata. Lirica sino al delirio, appassionata sino all' ebbrezza, vulcanica come il terreno ove nacque, scintillante come il sole che splende su quel terreno; modula rapida, non cura -- o poco -- dei mezzi e delle transizioni, balza di cosa in cosa, d' affetto in affetto, di pensiero in pensiero, dalla gioia estatica al dolore senza conforto, dal riso al pianto, dall' ira all' amore, dal cielo all' inferno -- e sempre potente, sempre commossa, sempre concitata ad un modo, ha vita doppia dell' altre vite: un cuore che batte a febbre. La sua è ispirazione; ispirazione di tripode, ispirazione altamente artistica, non religiosa. Prega talora -- e quando intravvede un raggio del cielo, dell' anima, quando sente un' aura del grande universo e si prostra, e adora, è sublime -- e la sua è preghiera d' una santa, d' una rapita; ma breve: -- tu senti che s' ella piega la fronte, la rileverà forse un istante dopo in un concetto d' emancipazione e d' indipendenza: tu senti che s' è curvata sotto l' impero d' un passeggero entusiasmo, non sotto l' abitudine d' un sentimento religioso immedesimato con essa. Le credenze religiose vivono d' una fede in tal cosa ch' è posta al di là del mondo visibile, d' una aspirazione all' infinito, e d' un intento, d' una missione che invade tutta intera la vita, e trapela ne' menomi atti. Ed essa non ha fede che in sé, non ha ad intento che sé. L' Arte per l' Arte è formola suprema per la musica italiana. Quindi il difetto d' unità, quindi il procedere frazionario, sconnesso, interrotto. Cova segreti di potenza che attemperata ad un fine, sommoverebbe, per raggiungerlo, tutto quanto il creato. Ma dov' è questo fine? Manca il punto d' appoggio alla leva, manca il vincolo tra le mille sensazioni che le sue melodie rappresentano. Come Fausto, essa può dire: ho percorso del mio volo l' intero universo; ma a parti e sezioni, coll' analisi, di cosa in cosa -- l' anima, e il Dio dell' universo, ove sono?

A musica siffatta, come ad ogni periodo, o popolo o disciplina che rappresenti e idoleggi nel suo sviluppo l' individualità, doveva sorgere corrispondente un uomo che riassumendole tutte in sè, si collocasse a simbolo e la conchiudesse.

 

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Tullio Visioli

Ha fondato nel 1991 l'ensemble LAUDANOVA col quale ha partecipato a concerti e rassegne di prestigio.

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