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Pedagogia e Scienze Umane

Cosa significa "educare"

A cura di Susanna Garavaglia

La natura umana non è una macchina da costruire secondo un modello e da regolare perché compia esattamente il lavoro assegnato, ma un albero, che ha bisogno di crescere e di svilupparsi in ogni direzione, secondo le tendenze delle forze interiori che lo rendono una persona vivente. (John Stuart Mill) 

Cosa significa prendersi cura di un’altra persona o di un gruppo, cosa implica essere un operatore olistico? Cosa vuol dire essere un educatore olistico?

Partiamo dal termine “educatore”, facendo una lettura da applicare a qualsiasi ruolo che si ponga come accompagnamento all’interno del proprio mondo interiore, al fine di portare alla luce potenzialità e ricchezze.

Educare, dal latino educere, significa “portar fuori “, portare alla luce tutte le qualità, le potenzialità, i doni, i talenti e accompagnare “lo studente” di qualunque età a vivere quelle situazioni che possono permettergli di passare dalla potenza all’atto, di diventare quello che è. Come il seme contiene in sé, in potenza, la pianta che, diventando tale, trasformerà in atto quel seme, così ogni persona può evolversi secondo le sue potenzialità.

Scrive Aristotele nella “Metafisica”:

“L'atto è l'esistere della cosa, non però nel senso in cui diciamo che è in potenza: e diciamo in potenza, per esempio, un Ermete nel legno) la semiretta nell'intera retta, perché li si potrebbe ricavare,  e diciamo pensatore anche colui che non sta speculando, se ha capacità di speculare;  invece, in atto l'altro …E l'atto sta alla potenza come ad esempio chi costruisce sta a chi può costruire,  chi è desto a chi dorme, chi vede a chi ha gli occhi chiusi ma ha la vista, e ciò che è ricavato dalla materia alla materia  e ciò che è elaborato a ciò che non è elaborato.  Al primo membro di queste differenti relazioni si attribuisca la qualifica di atto e al secondo quella di potenza.

Educare, allora, è accompagnare a passare dalla potenza all’atto, a permettersi di essere secondo la propria natura e non come crediamo che gli altri vorrebbero che fossimo. E, per farlo, è necessario diventare consapevoli dei nostri punti di forza e dei doni che, sviluppati, possiamo portare nel mondo; e, allo stesso modo, è importante diventare consapevoli che le nostre fragilità altro non sono che i nostri punti di luce orientati nella direzione per noi sbagliata, quella direzione che non ci aiuta a crescere ma blocca la nostra evoluzione. Il ricordo di questo impegno che abbiamo con noi stessi, di questo compito affidato a ciascuno di noi se vogliamo crescere e diventare consapevoli e sempre più coscienti va stimolato, in alcuni momenti della nostra esistenza, da un educatore, da una figura che ci alleni a non dimenticarlo.

 

Retto Equilibrio

“Rendi cosciente l’inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino” (Carl Gustav Jung)

L’educatore, per essere tale, deve partire dalla propria umanità, dalla conoscenza di sé e dalla capacità di sondare all’interno del proprio mondo interiore per cogliere i suoi punti di luce ma anche le sue fragilità. Deve accostarsi a chi vuole educare con il cuore aperto e la mente pronta, deve essere in grado di affrontare con equilibrio il suo approccio all’altro distribuendo bene il proprio peso per poter trasformare ogni aspetto caratteriale un punto di forza su cui fare affidamento. L’educatore deve agire con i piedi ben piantati per terra, deve essere ben radicato e allo stesso tempo però diventare un canale tra la terra il cielo, il cielo e la terra: deve essere in grado, cioè, di sondare prima di tutto la propria interiorità perché solo così potrà diventare un ponte tra la personalità e il mondo interiore di chi vuole educare. L’educatore devi camminare con i piedi ben piantati per terra, non sulle punte perché sarebbe proiettato verso il futuro, soltanto verso il futuro e quindi vivrebbe il suo ruolo sempre con ansia e preoccupazione e con un desiderio di dare che rischia di diventare invasivo; allo stesso modo, però, non deve nemmeno camminare sui talloni, quindi rivolto al passato, cercando di spiegare le problematiche nei suoi studenti nell’infanzia, nel rapporto con i genitori o nelle vite passate. Non deve fare psicoterapia, ma aiutare i suoi studenti a cercare nel presente, nel qui e ora, ogni carica, ogni stimolo, ogni carica. E non deve nemmeno vivere di rimpianti, rimpiangendo il tempo passato quando si poteva educare in un altro modo, quando i ragazzi leggevano, studiavano, capivano in un modo diverso da quello di oggi. All’educatore si chiede equilibrio, la capacità di distribuire bene il proprio peso.

Chi educa deve attenersi prima di tutto ad una retta comunicazione, deve cioè saper usare la parola in modo corretto, perché ogni parola che dirà, una volta deposta, non la potrà più ritirare.

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Susanna Garavaglia

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