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Danza Popolare

La danza popolare italiana

A cura di Simonetta Coja

  1. La danza popolare italiana
  2. Danza, respiro dell'Universo
  3. Classificazione delle danze popolari italiane
  4. La Tammuriata
  5. Il Saltarello
  6. La Tarantella di Montemarano
  7. La Pizzica
  8. La Tarantella

Nessuno meglio di Roberto Leydi ha sintetizzato la situazione del patrimonio coreutico popolare italiano. Conviene quindi senz'altro citare direttamente quanto da lui scritto alla prefazione di un classico della musica etnica, della collana ALBATROS del 1975, nel primo volume dedicato appunto all'Italia:

"…una serie di processi di stilizzazione hanno trasformato in senso moderno balli dalle radici etniche antiche, tanto da renderne ormai inavvertibili, o quasi, l'arcaicità e i caratteri originali.
Altri processi della dinamica culturale del mondo popolare hanno creato dislivelli quasi costanti, o almeno molto frequenti fra momento musicale e momento coreutico. Si dà cioè, il caso che le figurazioni e i passi di un certo ballo rivelino caratteri interessanti e classificabili di arcaicità dei quali alcuni tipici delle tecniche del corpo, mentre la musica utilizzata è spesso recente, ormai indipendente dalla realtà organica dell'evento coreutico musicale inteso come fenomeno unitario. E si dà, naturalmente, il caso contrario, cioè di una musica antica, eseguita con strumenti etnici, secondo moduli stilistici tradizionali, applicata ad un ballo ormai decomposto, corrotto, in sfacimento, dal punto di vista della purezza etnica e quindi 'riorganizzato' entro schemi moderni ed estranei al mondo popolare.


Si può citare il caso della Sardegna dove il ballo tondo si mantiene in relativa integrità e funzionalità anche là dove gli strumenti antichi (le launeddas) sono usciti dall'uso per essere sostituiti da altri moderni, anzi ottocenteschi, quali per esempio la chitarra e l'organetto.
…Possiamo considerare antichi balli quali il saltarello (distribuito in tutte le nostre regioni centrali), la tarantella (che è presente in quelle meridionali e in Sicilia, con una notevole varietà di forme e di nomi, per esempio pizzica in Puglia, fasola in Sicilia, ecc.) il trescone (ballato tra l'Emilia e la Tosca e certo un tempo ampiamente diffuso al Nord), il ballo tondo sardo, nel quale le origini arcaiche e rituali sono ancora percepibili. Di tutti questi balli esistono naturalmente versioni stilizzate e moderne, spesso profondamente diverse da quelle originarie.

Il caso più evidente è quello della tarantella, che ha avuto anche travestimenti colti e comunque anche una larga utilizzazione 'folkloristica' e dopolavoristica. Se mettiamo a paragone le tarantelle che i vari 'gruppi folkloristici', napoletani o siciliani che siano, oggi ci offrono con le versioni autentiche di questo ballo così come sopravvive qua e là nel nostro Sud nella tradizione contadina e pastorale (si veda soprattutto la registrazione di Carpino), subito ne sentiamo (e ne vediamo) le differenze e cogliamo in tutta la sua evidenza il risultato dei processi di 'acculturazione' sul materiale popolare ed etnico.

Di derivazione moderna, per lo più rinascimentale, sono probabilmente molte altre danze di maggiore o minore diffusione. Appartengono a questo gruppo balli che, pur in una grande varietà di nomi, spesso sono riconducibili ad un numero abbastanza limitato di modelli: ricordiamo la monferrina, la giga, la bergamasca, la gagliarda, la polesana, la padovana, la furlana, la corrente, la contradanza ecc.
A questo stesso gruppo possono assegnarsi anche i balli figurati che qua e là sopravvivono, spesso più di nome che nella realtà coreutica che è decomposta, quali il ballo del fazzoletto, il ballo della mela, l'altalena, il laccio d'amore, ecc.

Più recente l'origine di altri balli che pur hanno trovato un loro acclimatamento stilistico nell'uso popolare. Così la mazurca, la polca, il valzer e la quadriglia."

Questa la situazione descritta da R. Leydi nel 1975. Si potrebbero elencare molte altre danze, ma sicuramente oggi c'è molto di meno sul panorama nazionale, perché l'impatto della televisione e delle mode importate ha fatto strage della tradizione locale. D'altra parte è in atto un tentativo di recupero, e di commercializzazione, di molti ritmi e delle relative danze: basti pensare alla pizzica di E. Bennato (e al suo Taranta Power), a molte forme di tammuriata ecc. Spesso però più che di rilancio si tratta di operazioni di revival, o di resuscitare una tradizione ormai irrimediabilmente dimenticata, con riprese a volte arbitrarie e inventate.

Dove la tradizione è morta, cioè quasi dappertutto, sono sempre più rari i vecchietti che ricordano i balli della loro gioventù… e che sono ancora in grado di praticarli. Come affidarsi dunque a prendere per buona una tecnica affievolita dal peso degli anni e dei reumatismi? Si cerca comunque di salvare il salvabile, e di immortalarlo in video, visto che ora è possibile, per riprenderlo, diffonderlo e praticarlo. Bisognerebbe però salvare, oltre allo stile, anche lo spirito giusto, il contesto, le modalità e le convenzioni culturali che rendono una danza viva e significativa, e non solo uno spunto per uno spettacolo.

 

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Simonetta Coja

Si interessa alla cultura e alle problematiche dei Rom e dei Sinti in Italia e ha lavorato con l'Opera Nomadi dal 1990 al 1997.

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